Buon giorno a tutti. Condivido con voi la passione per i bombi che conosco da vicino e a livello professionale per il mio forte interesse per l’apicoltura. Mio marito invece usava l’immagine del bombo per spiegare simbolicamente come l’uomo (se ci crede davvero) possa superare fatiche e leggi fisiche apparentemente insormontabili.
E allora condivido con piacere con voi questo scritto che amo molto e che Eraldo scrisse per dare voce alle azioni che si stavano facendo a favore di un gruppo di persone con disabilità.
Sicura di farvi piacere vi saluto cordialmente
Paola Michelon
IL BOMBO E LA FISICA
Una mattina di febbraio di quattro anni fa, in tuta blu e stivali, guardavo ansioso e perplesso un campo appena arato. “E adesso come faccio?”. Un’amicizia ultratrentennale, un’insana passione per le cose difficili e un ramo di congenita follia ci aveva portato a decidere di avviare da zero non solo una fattoria, ma addirittura una fattoria che formasse ed occupasse un gruppo di giovani disabili mentali.
Nulla sapevamo di agricoltura, io avevo solo ricordi infantili della fattoria di mio nonno adagiata fra le nebbie, le acque e le zanzare del delta del Po. Però c’erano due convinzioni cocciute. Volevamo che “Conca d’oro”, questo il nome della nostra fattoria, diventasse un luogo vero: di lavoro e di accoglienza. Un luogo dove un giovane disabile non fosse oggetto di cure perpetue, una macchina sempre in riparazione. Ma potesse diventare un cittadino responsabile, capace di produrre cose buone apprezzate, ricercate ed acquistate proprio per questo.
L’altra convinzione era che l’intelligenza comincia dalle mani. Mani che sanno prendere e dare, tagliare, tracciare, scavare, piantare, intrecciare, impastare, stringere, aggiustare, annodare, spingere, tirare, sentire, impugnare, premere, tendere, flettere, sfiorare, afferrare, girare, e ancora e ancora… Abbiamo il cervello che abbiamo perché ci sono le mani.
Che cosa i disabili mentali non sanno fare, lo sapevamo già. È scritto in centinaia di libri. Leggere, scrivere, far di conto, narrare, dialogare, astrarre: per loro è terreno infido quando non sabbie mobili o buco senza fondo. Noi volevamo capire cosa sono capaci di fare con le mani perché il lavoro che produce cose utili richiede ancora le mani. C’era un solo modo per capire: fare e fare assieme. O, per dirla con una parolona di moda nei progetti di formazione: learning by doing.
Come dice Antoine de Saint-Exupery in Terre des hommes, si impara solo quando si incontra una resistenza e la fatica. La resistenza delle cose e dei limiti. E tutti gli artigiani, dal falegname al meccanico al restauratore, lo sanno. Così non abbiamo facilitato il compito ai disabili. Non siamo stati carini e compassionevoli, non abbiamo dato o accettato bacini. Al massimo una pacca sulla spalla o una battuta come fra compagni di lavoro. Ma siamo stati molto attenti, quello sì e non abbiamo fatto gli istruttori o i controllori. Abbiamo lavorato fianco a fianco, e quando qualcuno di loro diceva “sono stanco”, si rispondeva “anch’io” e si continuava. E loro non hanno facilitato il compito a noi. Abbiamo incontrato i nostri limiti nel non capire perché qualcuno non riuscisse ad eseguire un compito per noi facile come raccogliere piselli. Abbiamo perso il senso di onnipotenza e di accanimento pedagogico di chi crede che basti insistere nelle domande e nelle spiegazioni per ottenere. Abbiamo imparato che è necessario perdere tempo, che i percorsi tortuosi fanno capire di più e meglio della linea retta.
Sono trascorsi quattro anni e qualche mese, e Cristina, su cui nessuno scommetteva, è diventata una macchina da guerra nella raccolta, nei trapianti e nella zappatura. Antonio e Marco sono ormai ortolani a pieno titolo, Paola, che piangeva solo a guardarla, serve in bottega e al mercato con accuratezza e sorriso professionale. Chiara, Sonia e Valentina si giostrano fra marmellate, padelle, pasticci e torte nella cucina del ristorante. Gessica, Monica e Loredana gestiscono in sala cinquanta clienti e…e…e…
Allora, lieto fine? No, ancora fatica, e dubbi e problemi. Ma che gusto c’è a fare le cose facili e precotte? Secondo le leggi della fisica il bombo non potrebbe volare, ma lui non lo sa e vola lo stesso. Secondo le ferree leggi del mercato e della disabilità, “Conca d’oro”, come altre fattorie sociali in Italia, non potrebbe funzionare. Ma noi siamo ignoranti e andiamo avanti lo stesso. Come un trattore.
Eraldo Berti
Buon giorno a tutti. Condivido con voi la passione per i bombi che conosco da vicino e a livello professionale per il mio forte interesse per l’apicoltura. Mio marito invece usava l’immagine del bombo per spiegare simbolicamente come l’uomo (se ci crede davvero) possa superare fatiche e leggi fisiche apparentemente insormontabili.
E allora condivido con piacere con voi questo scritto che amo molto e che Eraldo scrisse per dare voce alle azioni che si stavano facendo a favore di un gruppo di persone con disabilità.
Sicura di farvi piacere vi saluto cordialmente
Paola Michelon
IL BOMBO E LA FISICA
Una mattina di febbraio di quattro anni fa, in tuta blu e stivali, guardavo ansioso e perplesso un campo appena arato. “E adesso come faccio?”. Un’amicizia ultratrentennale, un’insana passione per le cose difficili e un ramo di congenita follia ci aveva portato a decidere di avviare da zero non solo una fattoria, ma addirittura una fattoria che formasse ed occupasse un gruppo di giovani disabili mentali.
Nulla sapevamo di agricoltura, io avevo solo ricordi infantili della fattoria di mio nonno adagiata fra le nebbie, le acque e le zanzare del delta del Po. Però c’erano due convinzioni cocciute. Volevamo che “Conca d’oro”, questo il nome della nostra fattoria, diventasse un luogo vero: di lavoro e di accoglienza. Un luogo dove un giovane disabile non fosse oggetto di cure perpetue, una macchina sempre in riparazione. Ma potesse diventare un cittadino responsabile, capace di produrre cose buone apprezzate, ricercate ed acquistate proprio per questo.
L’altra convinzione era che l’intelligenza comincia dalle mani. Mani che sanno prendere e dare, tagliare, tracciare, scavare, piantare, intrecciare, impastare, stringere, aggiustare, annodare, spingere, tirare, sentire, impugnare, premere, tendere, flettere, sfiorare, afferrare, girare, e ancora e ancora… Abbiamo il cervello che abbiamo perché ci sono le mani.
Che cosa i disabili mentali non sanno fare, lo sapevamo già. È scritto in centinaia di libri. Leggere, scrivere, far di conto, narrare, dialogare, astrarre: per loro è terreno infido quando non sabbie mobili o buco senza fondo. Noi volevamo capire cosa sono capaci di fare con le mani perché il lavoro che produce cose utili richiede ancora le mani. C’era un solo modo per capire: fare e fare assieme. O, per dirla con una parolona di moda nei progetti di formazione: learning by doing.
Come dice Antoine de Saint-Exupery in Terre des hommes, si impara solo quando si incontra una resistenza e la fatica. La resistenza delle cose e dei limiti. E tutti gli artigiani, dal falegname al meccanico al restauratore, lo sanno. Così non abbiamo facilitato il compito ai disabili. Non siamo stati carini e compassionevoli, non abbiamo dato o accettato bacini. Al massimo una pacca sulla spalla o una battuta come fra compagni di lavoro. Ma siamo stati molto attenti, quello sì e non abbiamo fatto gli istruttori o i controllori. Abbiamo lavorato fianco a fianco, e quando qualcuno di loro diceva “sono stanco”, si rispondeva “anch’io” e si continuava. E loro non hanno facilitato il compito a noi. Abbiamo incontrato i nostri limiti nel non capire perché qualcuno non riuscisse ad eseguire un compito per noi facile come raccogliere piselli. Abbiamo perso il senso di onnipotenza e di accanimento pedagogico di chi crede che basti insistere nelle domande e nelle spiegazioni per ottenere. Abbiamo imparato che è necessario perdere tempo, che i percorsi tortuosi fanno capire di più e meglio della linea retta.
Sono trascorsi quattro anni e qualche mese, e Cristina, su cui nessuno scommetteva, è diventata una macchina da guerra nella raccolta, nei trapianti e nella zappatura. Antonio e Marco sono ormai ortolani a pieno titolo, Paola, che piangeva solo a guardarla, serve in bottega e al mercato con accuratezza e sorriso professionale. Chiara, Sonia e Valentina si giostrano fra marmellate, padelle, pasticci e torte nella cucina del ristorante. Gessica, Monica e Loredana gestiscono in sala cinquanta clienti e…e…e…
Allora, lieto fine? No, ancora fatica, e dubbi e problemi. Ma che gusto c’è a fare le cose facili e precotte? Secondo le leggi della fisica il bombo non potrebbe volare, ma lui non lo sa e vola lo stesso. Secondo le ferree leggi del mercato e della disabilità, “Conca d’oro”, come altre fattorie sociali in Italia, non potrebbe funzionare. Ma noi siamo ignoranti e andiamo avanti lo stesso. Come un trattore.
Eraldo Berti